I taccuini di Tarrou – 68

Dostoevskij non rimuove, e anche in questo sta la sua grandezza. Dostoevskij dà voce ai suoi dubbi più angoscianti e sanguinosi, permette che su di essi i suoi personaggi negativi fondino le loro negazioni, le loro ribellioni e realizza un quadro del genere umano tra i più completi e grandiosi, forse il più completo e grandioso in assoluto. La sua opera non potrà mai crollare, perché contiene in sé, facendone colonne portanti, quegli elementi distruttivi che, se assenti, la corroderebbero dalle fondamenta. Non è possibile costruire un edificio artistico e filosofico solido, o meglio, indistruttibile, senza comprendere nella costruzione le criticità, le antitesi. Allo stesso modo, non è possibile un pieno, completo sviluppo individuale senza la consapevolezza del proprio lato oscuro, dionisiaco. Senza Kirillov, senza Stavrogin e Ivan Karamazov, i più luminosi personaggi di Dostoevskij, come Sonja Marmeladova, come il principe Myškin e lo starec Zosima, sarebbero niente. Raskol’nikov non potrebbe mai risorgere senza prima subire il fascino della tentazione di Svidrigajlov. La rimozione agisce come una menomazione, lascia l’individuo incompleto e inconsapevole. Dostoevskij, nel suo animo lacerato e dubbioso, sa perfettamente che l’antitesi del suo Credo è rappresentata dalle sofferenze fisiche di Cristo, e a queste dà voce; sa che l’antitesi della sua fede in Dio è rappresentata dalle assurde, insensate sofferenze dei bambini, e a queste dà voce. Dostoevskij non si nasconde dietro presunti dogmi, misteri, ma illumina l’intera creazione, compresi i suoi angoli più oscuri, violenti, terribili. Così facendo giunge a una dimensione filosofico-letteraria universale che ha pochi, pochissimi eguali nella storia del pensiero e dell’arte.

A proposito delle sofferenze dei bambini, credo che il principale interesse dell’uomo dovrebbe essere proprio quello di preservare i suoi figli dalle sofferenze (forse, così facendo, avremmo molte meno carogne). Ma non è mai stato fatto e per questo l’umanità non ha mai avuto, né avrà mai, un avvenire. La sua storia si sviluppa nel corso dei secoli, ma è sempre la stessa storia, fatta di violenza, di sangue e di terrore. Questo non è futuro, ma un trascinarsi avanti tra un sopruso e l’altro. L’ottusità e l’egoismo dell’uomo dimostrano che la sua fine più conveniente è l’estinzione. Solamente quando non esisterà più, e questo giorno prima o poi verrà, l’umanità troverà la pace. Allora i lamenti delle vittime cesseranno e regnerà un silenzio cosmico, immenso, ultimo respiro del nulla.

Il piccolo Alan Kurdi in un murale a Francoforte
Precedente I taccuini di Tarrou - 67 Successivo I taccuini di Tarrou - 69